Dunque l’inconscio compare nel sogno come paesaggio in cui il buio è spesso lo sfondo rappresentativo oppure il sognatore sa di essere di notte nonostante riesca a percepire i contorni delle cose o degli esseri umani ed essere al contempo immerso nell’oscurità. Il sogno quindi ospita uno spazio diverso da quello della veglia, uno spazio che è avvertito come ampio e con orizzonti estesi a perdita d’occhio, la cui magnificenza s’impone sul soggetto, oppure esso può presentarsi come angusto e dalle proporzioni che via via si restringono, in quel caso comportanti angoscia per impossibilità di fuga o attivazione e allerta per cercare di correre via; il potervisi muovere senza continuità di scenario ma trovandosi catapultati in un altro luogo che non presenti alcuna coerenza di senso con quello precedente, o librarsi in aria e attraversare confini che solo la scena onirica permette, indica che stiamo abitando in uno spazio “altro” inconscio, dove la geometria come spazialità misurabile, ovvero come direbbe Cartesio, secondo i limiti della res extensa, è stata sostituita da una forma spaziale che si allunga come ellittica o circolare o poliedrica, oppure si verticalizza verso l’alto o verso il basso, in modo fluido o interrotto, si ingigantisce o si rimpicciolisce, insomma si modifica quasi secondo linee asintotiche che richiamano maggiormente la dimensione dell‘infinito. L’altra dimensione, che come abbiamo detto sopra insieme a spazio, a intenzionalità e all’autoriferirsi come soggetti caratterizza la coscienza (v. Sogno part.1), è il tempo onirico. Esso non coincide con la dimensione del suo scorrere che noi viviamo nello stato di veglia e che fonda l’atto coscienziale, pur nelle sue varianti dissociative ed estatiche diurne, ma richiama altre forme del suo dispiegarsi : un tempo ciclico, ovvero che si ripresenta con modi uguali ma contenuti differenti nelle varie epoche – un esempio tipico che ha riguardato l’inconscio collettivo è stato l’avvento del fascismo come ri-attuazione del mito romano-italico imperiale – , un tempo mitico, cioè che detiene la struttura di un tempo originario, da cui tutto iniziò ovvero il principio o “Archè” (cfr. in greco antico, “inizio” “comando”). Tale principio non è conosciuto o non è conoscibile, si fa intravedere presentandosi sulla scena onirica e quindi manifestandosi alla coscienza che poi ne farà racconto, ma nonostante la sua oscura provenienza può stagliarsi nelle immagini oniriche in modo luminoso, netto, numinoso ovvero riguardante una presenza sacra o che emana un’aurea divina. Quando parliamo di mito noi possiamo riferirci sia ai grandi miti della nostra cultura occidentale, come il mito di Edipo e della Sfinge, quello di Ettore e Achille nella guerra di Troia, sia al mito personale, che affonda nella propria storia d’infanzia o anche transgenerazionale ovvero tramandato sia inconsciamente che attraverso brani narrativi orali lungo le generazioni della propria discendenza. Il mito si svolge in un tempo mitico, quando accadde, quando si dice che accadde, donde anche la natura impersonale e collettiva del “si dice”, “si tramanda”, ovvero non si sa chi l’abbia detto ma così avvenne, perché lo dice il mito, in quel tempo che si riedita ora. Nel sogno ciò può avvenire. Posso sognare di andare a passeggio col Papa, e in quel caso il regista onirico inconscio potrebbe volersi riferire al movimento interno all’individuo verso orizzonti rischiarati dalla coscienza per favorire un proprio rischiaramento di comprensione di un’area del Sé – così come farebbe pensare il personaggio onirico che indossa la tiara con il Sol Invictus (cfr. in latino il “Sole non vinto”) che è simbolo del Mitra pagano dedito al culto solare fecondatore – oppure posso guardare in un pozzo in cui vedo pesci cantanti una melodia che ripete una frase senza logica apparente, come un enigma mitico da sciogliere, ma che echeggia in me la terra d’infanzia – e in quel caso il mito individuale legato a quando ero bambino si accompagna ad un’immagine sincretica in cui elementi della storia individuale si condensano con strutture mitologiche universali (il mito dell’enigma della Sfinge come essere bizzarro, così come bizzarri sono i pesci cantanti o come profondo è il pozzo di S. Patrizio) – . In ogni caso momenti del presente possono confondersi con il passato, il sogno può spesso inoltre predire il futuro, l’inconscio prevede le prossime mosse come configurazioni di probabile realizzazione, ha come un’occhio nel tempo a venire. Non è un caso se nell’antichità, pensiamo al sito archeologico di Epidauro in Grecia e in particolare al tempio nell’area sacra al dio-eroe delle cure mediche Asclepio, i pellegrini in visita al complesso cultuale avessero riservato per loro stessi uno spazio in cui dormire durante la notte per farsi venire in sogno Asclepio con il suggerimento enigmatico che al mattino doveva essere riferito al personale sacerdotale del tempio per essere decriptato e dare visioni sul futuro in generale o sul decorso per la guarigione. Tale pratica sacro-rituale era chiamata incubatio (in latino) o enkoimesis (in greco), nel primo caso il termine rimanda al “covare” qualcosa, ed è chiaro il riferimento al processo creativo onirico, nel secondo termine individuiamo il “dormire nel tempio” o “attendere l’oracolo”, che ha a che vedere con la natura di veggenza che il sogno come scena di rappresentazione inconscia può ospitare, quindi con il suo essere numinoso, ovvero come di essere che si rivela divinamente all’uomo. Questo tempo-spazio onirico è un tempo della creatività che dà origine alla dimensione narrante dell’esistenza, una narrazione analoga a quella del dipingere o del filmare o fotografare o scolpire. La qual cosa ci fa intendere che ogni processo creativo, dall’opera d’arte alla vita come opera, ha origine e trae il proprio fondamento e nutrimento dall’inconscio.