Uno dei più grandi drammaturghi d’Italia, ammirato e letto anche fuori dai confini nazionali, è senza dubbio Luigi Pirandello. Opere come Uno Nessuno Centomila, Sei Personaggi in cerca d’autore, Il Fu Mattia Pascal, richiamano subito alla nostra memoria il grande tema affrontato dal romanziere, la maschera e il soggetto che vi sta sotto, ambito che è di massima pertinenza psicologica, come si può intuire. Fu il teatro greco antico che concepì per primo la dimensione di “maschera” propria alla condizione di ogni essere umano che vive nella società. In effetti per essere nel collettivo è necessario indossare una maschera: nel lavoro ad esempio, la “maschera” potrebbe coincidere con il ruolo che si viene a coprire: il preside, l’infermiera, il pasticciere, l’avvocato, etc. etc… Una volta però individuato il nesso di significato tra ruolo e maschera, non ci è ancora chiaro in cosa consista la maschera da un punto di vista psichico. Anche nel teatro di Plauto, commediografo latino del 200 a.C., troviamo l’uso di maschere ognuna relativa ad un personaggio fisso delle commedie, come il “servo furbo”, il “parasitus” o parassita avido, ” il “lenone” o commerciante di schiave, la “matrona” o donna sposa e madre, il “senex” o il padre nobile, di solito bonario, o la “meretrix” o cortigiana e l’ “adulescens” o giovane perfetto o ardito etc… . Come si vede ci avviciniamo a comprendere ciò che era la rappresentazione di personaggi fissi intorno ai quali si costruiva la narrazione della storia che andava in scena. Quindi iniziamo a capire la caratteristica di fissità come insieme di qualità psichiche ricorrenti che gli spettatori si aspettavano che quel determinato personaggio impersonasse, suscitando riso o sconforto e pianto, o costernazione e meraviglia o gioia. Dobbiamo considerare che furono appunto i Greci del VI secolo a. C. coloro da cui ereditiamo l’arte rappresentativa del teatro, dando vita alla tragedia, opera scritta da un autore che si distingueva o attraverso agoni o per la sua fama data dal successo di pubblico; tragedia che aveva al suo interno un nucleo mitico riguardante storie di eroi ed eroine, con intervento di dei (da cui il celebre detto, usato anche da noi esseri umani del 2021, di “deus ex machina”, riferendosi con ciò al dio, impersonato da un attore, che emergeva dal pavimento o dalle quinte della scena e risolveva o nel bene o nel male, un conflitto irresolubile tra eroi o tra eroi e comunità), e che dalla tensione che via via aumentava con il pathos della storia, finiva poi con il sacrificio in morte di uno o più protagonisti della narrazione. La presenza di un Coro che danzava e cantava era dovuta alla legge della città o della collettività che commentava le azioni e il destino dei personaggi tragici. Ma ciò che ancor più richiama la nostra attenzione è la maschera che indossava l’attore: essa aveva un volto che ricalcava i dettami iconografici del personaggio rappresentato, aveva in particolare un grosso foro a livello della bocca, come scavato ad imbuto o cono con base all’esterno, in modo da far passare la voce e quindi amplificarla verso gli spalti, grazie anche alla conformazione dell’anfiteatro che assicurava l’audizione fin sopra l’ultima fila di seggi. La maschera era detta dai latini Persona, perché attraverso l’apertura consentiva all’attore di “per-sonare” ovvero far risuonare attraverso la maschera la sua declamazione di strofe per il dramma in scena. Ora che abbiamo questi elementi, possiamo cercare di riflettere sul senso che la “maschera” ha nella dimensione dello psichico. Essa sarebbe una forma di superficie che sembra a tutta prima identitificare il soggetto ma non per questo lo esaurisce o lo identifica totalmente. Anzi, noi potremmo asserire che la maschera, o meglio, le varie maschere che ogni individuo adotta inconsapevolmente durante l’esistenza non coincidono con ciò che questi è autenticamente! Per C.G. Jung la “Persona” è una rappresentazione o più rappresentazioni di carattere inconscio, da cui il soggetto durante la vita ha il compito di differenziarsi per giungere al o personalità totale. Questo Jung chiama Processo di Individuazione, ovvero l’incontro con la Persona o maschera inconscia che può essere relativa a rappresentazioni copionali, ovvero fisse e ripetute automaticamente, della storia personale o rappresentazioni psichiche più concernenti il collettivo, che il soggetto assume su di sé identificandocisi inconsapevolmente. Per questo il processo di individuazione avviene attraverso l’incontro con la propria maschera inconscia, che si presenta al soggetto durante i sogni o nelle fantasie o nelle opere creative e che, se giunta al processo di consapevolezza, può essere elaborata attraverso un riconoscimento che parte dalla maschera che si è impersonata nella propria storia o nel rapporto con la comunità. Si potrebbe parlare anche, con lo psicoanalista inglese D.W. Winnicott, di Vero Sè e Falso Sè, proprio riferendoci, col primo, al processo di adeguamento del soggetto a forme di compiacenza all’ambiente, negando i propri processi creativi e originali od originari e preferendo adattarsi alle richieste dell’ambiente, col secondo invece alludendo alla ricerca dell’espressione di una propria individualità differente dagli altri e dalle immagini inconsce derivanti dalla maschera indossata. E’ importante focalizzare il processo psicologico del rappresentare, cioè sarebbe proprio nel momento in cui io incontro nel sogno una maschera di me stesso, che non conoscevo e che precedentemente abbiamo visto anche coincidere a volte con l’Ombra (v. articolo: Il Sogno: L’Ombra e l’Individuazione), che posso rappresentare a me stesso quell’immagine da cui mi separo perché vedo a distanza e quindi posso individuarmi da questa rappresentazione. Viceversa, se non posso rappresentare alcunché, posso essere posseduto dalla Persona o Maschera e agirò secondo ciò che detta quella rappresentazione cui mi sono inconsapevolmente adeguato. Facciamo un esempio molto reperibile nell’esperienza di vita. Si è trovata una certa tendenza, in chi affronta il percorso di pensionamento, alla depressione. Improvvisamente giunge il periodo, che nelle battute da bar si sente ripetere come desiderato ardentemente, ovvero quello in cui ci si ritira a vita privata cessando il proprio impiego, e lo si saluta con feste rituali e ricchi regali dei colleghi che motteggiano un “beato te che ti vai a riposare!”. Subito dopo però la persona in pensione può iniziare a sentire la propria vita senza un senso. La perdita di senso può originare dal processo di lutto che l’individuo affronta rispetto alla propria maschera di professore o di ingegnere attivo, che ora non si avverte più avere un luogo di riconoscimento tra i colleghi o nel mondo precedentemente frequentato. Ecco allora che il lutto della maschera coincide con il lutto della propria identità. L’individuo si sente perduto, non trova più il desiderio nei confronti di un futuro sentito come definitivamente occluso ed è allora che subentra il sintomo depressivo. In realtà il soggetto stesso ha mancato l’incontro con le rappresentazioni di sé relative alla maschera e le ha fatte coincidere con il senso del proprio vivere, senza riflettere su quali fossero le sue profonde aspirazioni alla realizzazione al di là dei ruoli, sia sociali che familiari. In tal caso ciò che non è stato elaborato è la componente collettiva della Persona. Ma cosa è effettivamente il Soggetto? Può esserci di aiuto in questo l’etimologia del termine, che nel latino è subjectus e in greco è upokeimenon: in entrambi la traduzione significa letteralmente “ciò che giace sotto”. quindi il Soggetto è ciò che si sottrae ad un ultima determinazione, ad una definizione unica, che sia per sempre, ma proprio per la sua natura dello “stare sotto”, esso sfugge ad una fissità ed è invece sottoposto alla legge del divenire. Ne consegue che il processo di individuazione, come sentiero esistenziale che porta all’espressione del Sè, può durare per tutta la vita, poiché continuamente l’individuo conoscendo parti di sé ed esprimendole, muta costantemente il proprio orizzonte. Si evidenzia cosi la dimensione dell’Orizzonte, in tal caso inteso come confine interiore che sempre si amplia mentre ci muoviamo dentro di noi. La psicoterapia si configura essa stessa come via entro cui si sperimenta il mutamento d’orizzonte e la conoscenza del Sè, che potrà così esprimersi, e l’individuo non esiterà in blocchi sintomatologici.