In un precedente articolo qui pubblicato (cfr. “Pensieri sparsi sulla Pace: il Transito”), si è affrontato il concetto di transizione, sia per ciò che riguarda il soggetto che la collettività, intesi entrambi come psichici, laddove nel primo caso il blocco del transito da una configurazione psichica ad un’altra porta al sintomo psicopatologico e alla sofferenza e quindi alla possibilità eventuale di mutamento evolutivo per il soggetto stesso , nel secondo il cambio di equilibri geopolitici e socio-culturali produce disequilibri e un’instabilità che possono esitare in guerre o portare a cambiamenti epocali migliorativi. Insomma la transizione e il transito o i transiti possono essere evolutivi ma anche distruttivi.
I Greci antichi parlavano di tragico, che non è la colpa ma è il dover attraversare le antinomie (v. qui articolo “Pensieri sparsi sulla pace…”), ovvero i contrasti polarizzati dello psichico e dell’esistenza, non eliminando uno dei due estremi, che poi ritorna come sintomo cui sottende il rimosso, ma dovendo attraversare queste stesse antinomie in transito. Si tratterebbe di un ritmo ed è proprio questo quello che Nietzsche chiama la più grande esperienza psichica che è il tragico. Il bianco e il nero, come antinomie, hanno moltissime sfumature cui bisogna porre attenzione. Eliminare una delle due parti in contrasto significa rimuovere e cadere nell’automatismo, che si ripropone fuori dalla coscienza. Restare nella consapevolezza invece e tenere al contempo le due opposte polarità presenti alla propria attenzione, significa uscire dall’automatismo e cominciare a riflettere, che non è semplice pensare ma è riflettere su di sé, ovvero il ripiegarsi del soggetto che pensa su di sé in modo riflesso. Quindi l’opportunità è quella di essere custodi del momento e della transizione attraverso l’attenzione riflessiva. Noi abbiamo rimosso le testate nucleari, ma l’automatismo porta sempre a rientrare nell’automatismo. Un equilibrio della paura fa sfuggire qualcosa, l’equilibrio migliore è la consapevolezza dell’automatismo.
Ma vediamo da vicino la dimensione umana del tragico, focalizzandone un tema universale : l’incesto. Nell’Edipo Re di Sofocle si inaugura il tema dell’incesto, della colpa, dell’inganno, del tradimento. Per Jung l’incesto è regressione alla dimensione infantile nel materno. In verità l’Edipo Re sembra essere un frammento di psicoanalisi. La concezione del problema dell’incesto in Jung è su un piano radicalmente differente da Freud. In Jung l’incesto fa parte delle immagini inconsce archetipiche e riguarda il transfert come attivazione regressiva di queste immagini, mentre per Freud padre e madre verso cui si rivolgono le istanze regressive sono reali. Il complesso edipico è universale nel bambino, solo nell’adulto diventa conflitto. Tanto più la sessualità si realizza tanto più aumenta l’affrancarsi, se non c’è libertà c’è conflitto da dipendenza! Per Freud il conflitto tra libertà e dipendenza dalle figure parentali è già nell’infanzia, per Jung per dare origine alla nevrosi deve attivarsi il complesso: cioè se per Freud c’è il fatalismo di un’attualizzazione nel passato, per Jung il complesso dell’incesto non è una realtà ma una regressione fantastica regressiva. Per essere più chiari, secondo Jung le fantasie incestuose esistono, non sono però letterali come vuole Freud, cioè rivolte alla madre e al padre che il figlio ha. Sia Freud che Jung però condividono l’idea che siano fantasie incestuose e che siano universali.
Per Jung il tabù dell’incesto è visto da un punto di vista antropologico; cioè c’è nell’uomo un’esigenza di esogamia, l’incesto al contrario è la tendenza endogama che favorisce la solidificazione del gruppo familiare secondo un impulso di conservatorismo. Per Jung è stato l’istinto evolutivo dell’uomo ad imporre l’esogamia, favorendo lo scambio genetico. La paura dell’incesto è per Jung la paura di essere divorato dalla madre, una Madre primigenia. L’individuazione diviene in tal senso una libera volontà autoaffermatrice: la madre è l’inconscio e il ritorno alla madre è la regressione come esigenza di immergersi della libido nell’inconscio. Giona vede i misteri nel ventre della balena. Per Jung l’incesto si collega così al mito dell’eroe, quale individuazione di individualità distinta dall’inconscio che è la Madre Primigenia. Nella vita adulta, quando c’è un ostacolo o si ha una vita unilaterale, cioè senza contatto con l’inconscio, ma identificati con il solo fatto conscio, si può assistere secondo Jung ad una re-immersione nell’inconscio, la libido rifluisce e riattiva vecchi problemi. Il viaggio nell’inconscio è pericoloso, può portare ad una paralisi, il soggetto non può mettere radici nel mondo e invece si appoggia al materno. L’esito positivo invece è una brama di rinascita con aspetto creativo dell’inconscio, il soggetto trova qualcosa di utile per sé e il dialogo tra l’Io e l’inconscio può procedere senza fine. Quindi mentre l’endogamia è un restare bambini, essere contenuti dall’inconscio, l’esogamia è la volontà di individuazione. Il superamento dell’Edipo è la possibilità di attingere la creatività senza negarne la pericolosità. Quindi in quest’ottica l’incesto, a livello di fantasie regressive, si pone come un nucleo del processo di individuazione.
Se per Freud la teoria psicoanalitica corrisponde alla verità, per Jung la sua teoria è una delle visioni possibili; se per Freud l’uomo è il risultato degli impulsi inconsci, per Jung l’uomo è il luogo non definitivo di indeterminazione non adattiva ma che ospita la contraddizione abitandola senza cedere a nessuna delle parti. Abitiamo un ossimoro: nella luce l’ombra.