Pietro Salemme

Psicologo Psicoterapeuta a Roma

La Psiche e la Guerra: la prospettiva freudiana (parte 2)

Nel 1915 Sigmund Freud pubblica un testo essenziale a cui riferirsi quando si parla di guerra : “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte”. Qui lo studioso chiarisce che la storia umana è il lungo processo di civilizzazione di Thanatos, cosi come di Eros, una civilizzazione della pulsione libidica e dell’istinto di morte. Secondo tale visione, il corteggiamento è al posto dello stupro cosi come un confronto tra argomentazioni opposte sostituisce un’aggressione fino all’omicidio. Quindi in quest’ottica la guerra diventa una regressione al mondo arcaico primitivo, dove vale la legge dell’ “homo homini lupus” (trad. :”uomo lupo per l’uomo”), una “lex talionis” (trad. : “legge del taglione”), cioè un “occhio per occhio dente per dente”, se vogliamo citare un detto popolare, in cui la componente di risposta non mediata dal pensiero si incanala preferenzialmente nel cunicolo dell’aggressività e della supremazia violenta sull’altro, in un rapporto dominante-dominato. Il tabù civilizzatore del “non uccidere” decade dunque in guerra per le ondate regressive pulsionali cui è sottoposto lo psichico che, come dice Pierre Janet, abbassa il proprio livello, un “abbaissement du niveau mental”, ovvero una reattività dello psichico molto più alta del solito perché più bassa è la soglia di stimolazione cui esso diviene sensibile. La temperie emotiva della guerra, con i morti che via via aumentano e l’inosservanza delle regole di mutuo rispetto della vita, prima assunte come convenzioni date, ora esalate e dissolte sotto i colpi del prevalere sull’altro da vincere e sottomettere comunque al proprio imperio, costituiscono il nuovo milieu o mondo circostante, che contribuisce all’abbassamento di soglia della reattività psichica e quindi all’incrudelimento proprio ad una natura ferina. E’ quel che accade quando l’uomo torna ad uno stato di “homo naturae” (trad.: “uomo di natura”, ovvero quella condizione in cui, secondo Lévy-Bruhl, l’individuo di una tribù tradizionale e indigena, per esempio africana, proietta sulla natura ciò che non riconosce come fenomeno psichico proprio. In questa condizione psichica ad esempio, cacciare troppi animali può voler dire per costui attendersi una ritorsione dalla foresta che si vendicherà attraverso insidie volte ad aggredirlo secondo una intenzionalità, ora proiettata in un albero che lo travolge ora in un fiume che lo inghiotte. Lévy-Bruhl parlerà in questo senso di “partecypation mystique“, ovvero uno stato in cui non c’è alcuna differenza tra percepiente e percepito, i quali vivono in una simbiosi sensoriale tale che il soggetto è sotto l’influsso di una “identità arcaica” che diviene poi inconscia nel processo di civilizzazione presieduto, ma fino ad un certo punto controllato, dal pensiero differenziante. Il concetto di partecypation mystique sarà poi ripreso da Carl Gustave Jung per orientarsi nella ricerca e nell’approfondimento degli archetipi dell’inconscio collettivo (vedi parte 3). Ecco dunque farsi più comprensibili i crimini di guerra come portato precipitato delle reazioni difensive che assumono l’aspetto di ritorsione e vendetta in un processo di sempre maggior attivazione dell’asse libidico polarizzato nelle due facce, rispettivamente, attive e passive ovvero sadico-masochistiche di un’unica medaglia: quella dell’impianto pulsionale perverso. In effetti possiamo parlare di un impasto perverso quando la libido non trova un canale diretto di soddisfazione della propria scarica ma cerca vie indirette di raggiungimento dello scopo al posto di quello originario. Valga per tutti l’esempio di un gruppo di preadolescenti maschi che si costituiscono come branco delinquenziale, così come evidenziato da Donald Meltzer. Qui la pulsione libidica comune a tutti loro sarebbe dimensionata secondo impulsi omoerotici latenti, cioè non consapevoli, relativi ad uno stato indifferenziato dell’identità sessuale psichica e di indifferenziazione tra membri di uno stesso gruppo, il cui sviluppo è bloccato dalla negazione di identificazioni omofiliche, negazione derivante dalla difficoltà di un’elaborazione del complesso edipico che porta alla scelta d’oggetto d’amore. La negazione come meccanismo inconscio difensivo perverte, cioè devia, la pulsione sessuale, che secondo Freud contiene già in sé una certa aggressività con sopraffazione dell’altro, verso l’attacco e la distruzione dell’oggetto stesso interno d’amore, i soggetti cedendo quindi all’impulsività distruttiva che rende morto, cioè mortifica, ciò che si manifesta come amore e vita. Il gruppo quindi cementa il proprio legame libidico attraverso una pulsione distruttiva che in realtà ha alla sua origine una mancanza elaborativa rappresentazionale psichica della pulsione erotica. Per questo possiamo dire che la psicosi è imparentata con la perversione criminale, in quanto in entrambe le configurazioni si assiste all’azione indisturbata del meccanismo difensivo della negazione, che è ancor più regressiva e potente rispetto alla rimozione mentre è vicina all’altra sua compagna, la scissione. La scissione dell’oggetto psichico potrebbe essere accompagnata dal processo di frammentazione dell’oggetto stesso fino alla rappresentazione di una sua polverizzazione attraverso lo sminuzzamento delle sue parti. Un’ulteriore interpretazione della guerra a livello intrapsichico la dobbiamo alla riflessione acuta dello psicoanalista Franco Fornari, che nella sua relazione al Congresso di psicoanalisi a Milano nel 1964 poi divenuta libro dal titolo “Psicoanalisi della guerra”, avanza l’ipotesi ampiamente condivisibile di un’eziologia patologica da lutto irrisolto alla radice dello scatenamento della guerra. Ciò riguarderebbe sia il versante individuale di un leader che conduce alla guerra il suo popolo, di solito a capo di regime totalitario, sia un’intera collettività riunita in nazione con forti basi identitarie relative all’appartenenza dei suoi membri sotto un’unica bandiera. In entrambi i casi vi sarebbe al fondo un irrisolto lutto da separazione rispetto ad un’unità perduta, sia che la separazione riguardi una vicenda personale nella storia di vita del tiranno, sia relativa ad un’ideale di patria sentito come ingiustamente violato ed estorto. La mancata elaborazione del lutto porterebbe poi ad una scarica dell’emozione correlata di rabbia e aggressività per distruggere l’oggetto d’amore internalizzato e avvertito come cattivo. Concludiamo questa seconda parte con un pensiero che Freud ebbe a scrivere tra il 1930-1938, ovvero gli anni subito precedenti allo scoppio della seconda guerra mondiale, reperibili in Opere vol. 11 pg. 303: “Poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un’intolleranza costituzionale, per così dire della massima idiosincrasia”.

La Guerra e la Psiche (parte 1) : le pulsioni Eros e Thanatos

La guerra è un fenomeno umano che si avverte avvenire all’improvviso. Che la guerra fosse in arrivo, figurativamente impersonata dal dio Marte che in tutta baldanza piombava sulle genti armato di corazza elmo e schinieri, brandendo spada e quant’altro d’uopo alla pugna, il civis romanus poteva percepirlo dalle porte del tempio di Giano, il dio bifronte, che si chiudevano in tempo di pace e si aprivano in tempo di guerra. Questo dettaglio della bifrontalità può darci già un potente indizio circa la natura della belligeranza che poi si realizza nelle battaglie sanguinose : il caos che regna e diviene avversità, cioè ciò che è contrario all’armonia delle cose e tutto agita e scompiglia. Infatti l’essere rappresentato del dio Giano con due volti che guardano in opposizione l’uno all’altro e appartenenti ad un unico corpo, echeggia la mancata differenziazione di parti psichiche, proiettate nella divinità romana arcaica, ovvero la natura sincretica indifferenziata e simbiotizzante che esula dal processo di coscienza e appartiene al versante inconscio, di cui non si è quindi consapevoli, dal fondo di mistero, inconoscibile e agente sulla coscienza con una potenza tale da sconvolgerne i suoi due principali parametri di strutturazione : il tempo e lo spazio. Dunque con questa prima immagine culturale religiosa ci si addentra nei luoghi della guerra che sono psichici ancor prima di divenire concretamente apprezzabili come distruzione di vita e di opere umane. Lo psichico è di natura essenzialmente inconscia, pulsionale, e può costituirsi, in una delle sue molteplici forme, come trieb, che in tedesco è la spinta o pulsione, un concetto che Freud definirà al limite tra lo psichico e il corporeo. Le pulsioni traggono origine dall’organizzazione corporea e trovano nell’Es, ovvero un’istanza antica ed ereditata fin dalla nascita e quindi inconscia, una loro espressione psichica. L’Es è, secondo Freud, la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità; il poco che ne sappiamo lo traiamo dallo studio dei sogni e dalla formazione dei sintomi psicopatologici ed esso vuole la scarica pulsionale da cui il senso catartico di depurazione che vi è connesso. Allora il suo carattere è primitivo e irrazionale, poiché si contrappone all’Io come giudizio di realtà, e si oppone anche all’impianto dei valori, delle norme, ovvero all’istanza morale che ha il nome di Super Io. Il meccanismo che rende quasi inconoscibile l’Es dall’Io, se non con sogni, atti mancati, lapsus verbali o motti di spirito e fantasie ad occhi aperti, è la rimozione. Nei processi onirici l’inconscio e le pulsioni trovano una loro possibilità rappresentativa e quindi possono essere compresi dall’Io, che li integra nella personalità totale. Le due principali pulsioni sono quelle che già Empedocle, filosofo greco presocratico di Agrigento vissuto nel V secolo a.C., indicava come Filia e Neikos, ovvero Amore e Odio, che poi Socrate riprenderà nei dialoghi platonici come Eros e Thanatos. Per il filosofo agrigentino i due principi erano alla radice della costituzione dell’universo e attraverso il loro incontrarsi e alternarsi istituivano il principio creativo e distruttivo di ogni forma vivente e al contempo cosmica, ovvero erano deputati a sovrintendere a ciò che nell’universo consta di ordine e disordine. E’ infatti nel vocabolo greco cosmeo, da cui il termine contemporaneo di ”cosmesi”, che ritroviamo il senso ordinatore, dell’abbellire facendo ordine. Anche Socrate riprenderà spesso il discorso di Eros come divinità generativa e creativa, che non riguardava soltanto la dimensione dell’amore sensuale o della filia come modo di vivere tra uomini che sono ben disposti e favorevoli reciprocamente al fatto umano, ma anche la forza della fusis o natura all’interno della quale spinge per emergere il rinnovamento come crescita rigogliosa. E, come dirà Socrate, non è possibile che la creazione, e nella natura e nel cosmo e nell’amore tra esseri viventi, non sia opera di Eros. Anche un altro dio era ritenuto responsabile di una forza generatrice, Dionysos, che attraverso la vite e la bevanda che ne deriva come vino, possedeva la capacità di donare la transe che poteva portare il disordine come potenza della natura, potenza di una vita inesauribile. La potenza della vita si rivela anche come follia che in questa dimensione del dionisiaco mostra la sua misteriosità che è anche il mistero dell’esistenza e della morte. Una follia, che nell’ebbrezza del dionisiaco che si sprigionava come forza vitale, portava con sé anche un quantum di distruttività : per analogia quel che nel parto si mostra come dolore e generatività, ovvero un processo vitale che ha in sè la tragicità dell’abisso di senso a cui l’uomo è continuamente chiamato per interrogarsi sul nascere e sul morire, su cosa significa vivere, su cosa significa scomparire. E’ in questa densità oscura, che oscilla tra i manifestarsi prodigiosi della vita – come possiamo vedere da un seme che germoglia magicamente o da un bambino che con sforzo esce dal ventre materno – che possiamo percepire l’inquietudine e la meraviglia che ci coglie di fronte al dispiegarsi della potenza della gemmazione dell’essere. La follia è quello sporgersi nell’abisso, come accadrà a Nietzsche nella sua esperienza di penetrazione del pensiero cui lo stesso soccomberà, che apre al senso come ricerca tragica senza mediazioni e che per ciò, facendo sporgere l’individuo nel precipizio dell’inconoscibilità, rimane essa stessa avvolta da mistero insondabile. Ecco in qual senso duplice intende Freud la vita pulsionale secondo cui prende forma lo psichico. E’ chiaro che una volta che la distruttività di Thanatos signoreggia, l’individuo ne è pervaso e Eros cede il suo passo, sotto i colpi violenti e nullificanti di Thanatos. Il principio tanatologico a differenza di quello erotico ha infatti la peculiarità di rendere morto, nel senso di ridurre a niente, il vivente e l’opera del vivente, tanto che abbracciare Thanatos conduce alla rovina e all’annientamento. Viceversa il principio di Eros ha la caratteristica della sua stessa potenza che è il continuare, il preservarsi e il generare. Queste due dimensioni dell’accadere psichico possono rintracciarsi nell’individuo singolo, cosi come nel piccolo gruppo, nel large group (40/80 persone), e in una nazione intera, di cui dobbiamo prevedere una manifestazione psichica collettiva del suo esistere come massa attraversata da immagini primordiali, che Jung nella sua riflessione ha denominato archetipi.