Pietro Salemme

Psicologo Psicoterapeuta a Roma

Fare un film insieme: Cura di Gruppo, Azione!

Come si vede in queste immagini del servizio di “Medicina Trentatré”, rubrica del Tg2 Rai (https://www.pietrosalemme.it/wp-content/uploads/2022/10/19b40de3-2a61-48b5-b07c-831e7e137e34.mp4), un gruppo ha in sé moltissime potenzialità di sviluppo creativo e quindi curativo. Infatti la dimensione della creatività può avvenire nella solitudine e nel raccoglimento ma anche nella condivisione relazionale. Prima di tutto è necessario costituire un gruppo tramite la partecipazione dei singoli ad un progetto che il gruppo ha in animo di realizzare. Questo gruppo aveva il fine di riunirsi una volta alla settimana per vedere dei film insieme, commentandoli in una discussione aperta alla fine di ogni proiezione, che questa fosse presso il Centro terapeutico o che avvenisse nei cinema della capitale. Col tempo il gruppo stesso e i singoli membri hanno maturato una competenza filmografica di circa dieci anni e la consapevolezza di tale capacità di orientamento tra i generi di varie pellicole lo ha condotto a decidere di intraprendere il percorso di formazione in arti cinematografiche. Si è cercata un’associazione sul territorio limitrofo che potesse fornire l’aiuto di un docente in regia e di un docente in sceneggiatura, e si è così iniziato il corso che è durato due anni. Via via che i pazienti frequentavano il corso di regia e sceneggiatura, coadiuvato da chi scrive in qualità di psicoterapeuta, è emerso il desiderio unanime di cimentarsi nella scrittura di una sceneggiatura di un cortometraggio, recitato da attori professionisti. Si è poi scelto di girare anche un documentario sul backstage durante la lavorazione del corto, narrando la storia del gruppo e dei singoli e il loro concepimento di una scrittura di copione sul tema del lavoro, dell’amore e dell’invisibilità. Ne è nato un docufilm di circa 50 minuti che sta ora girando per le sale della città riscuotendo un discreto successo di gradimento, dal titolo “Percepire l’invisibile“, di cui qui di seguito si può vedere il trailer : https://vimeo.com/572069254.

Ma in cosa consiste la cura per mezzo della creatività? La prima questione che un gruppo deve affrontare è la possibilità di essere costituito come gruppo di lavoro, in tal caso il lavoro essendo la dedizione del gruppo alla visione e condivisione di immagini filmiche. La discussione che segue la proiezione, il classico “dibattito” di morettiana memoria, consiste nel prendere la parola per esprimere in gruppo emozioni, pensieri, ricordi e analisi critiche sulla struttura stessa del film, anche attraverso comparazioni con altre pellicole o con romanzi letterari o con opere pittoriche artistiche. Questa fase è delicata e necessita di un conduttore che possa facilitare gli scambi interattivi, favorendo il più possibile la comunicazione, assicurando il livello di democrazia psichica secondo cui ognuno dei membri ha diritto ad esprimersi o a stare in silenzio ed ascoltare, cercando lo stesso conduttore di attenuare le asperità di confronto, laddove queste si sviluppino, o di mantenere e custodire la capacità del gruppo di dialogare nella tolleranza. Si tratta di attivare una dimensione di ascolto dell’altro, ovvero un gruppo che ascolta chi abita nel suo spazio e che si ascolta come sé stesso ovvero come altro da sé, che ospita cioè al suo interno le immagini inconsce che vengono alla luce della consapevolezza tramite il linguaggio narrativo. Questa dimensione di ascolto come assetto in cui entra il gruppo ha a che fare con la creatività, nel senso che il percepire stesso dei contenuti per immagini assume in gruppo caratteristiche creative nel momento stesso in cui viene espresso e condiviso. I processi di invidia e conseguente attacco sono poi attenuati dall’azione terapeutica che il conduttore svolge attivamente. Ma pian piano il gruppo stesso inizia a disegnare i contorni di quella che è l’opera che vuole produrre.

In che senso la creatività è terapeutica? Nel momento in cui il singolo membro del gruppo concepisce una visione o uno spunto narrativo che può essere espresso, proprio in quell’istante avverrebbe il primo passo del processo creativo, il quale riguarda l’atto percettivo stesso. In effetti l’atto percettivo stesso è la nascita creativa di sé stessi come percipienti, ovvero il percepire stesso del bambino è sentito come meravigliosa scoperta del mondo nell’istante in cui esso sente di creare ciò che, ad esempio, vede (cfr. Winnicott). Dunque il pensare per immagini, tipico del processo di condivisione di un gruppo di lavoro, è in sé atto creativo. Quando il soggetto pensa in gruppo insieme ad altri soggetti che come lui riflettono, allora può entrare in ascolto di sé stesso accorgendosi di creare delle immagini relative o legate al discorso, secondo la tecnica dell’associazione libera di idee. Nella fase di “brain storming” l’atto creativo è porto al gruppo che ascolta e si alterna con altri atti creativi. In quel passaggio il soggetto inizia a godere di un rispecchiamento che consiste nel ricevere un’immagine di sé a feedback che fonda l’atto di specularizzazione di un sé agente, nel senso di pensante. In effetti il pensare si configura come atto, come un’azione che viene percepita dal soggetto, che nel momento in cui la forma dentro di sé può percepirla in vario modo e con livelli di consapevolezza variabile, ma essenzialmente la realizza nell’istante in cui la può comunicare agli altri in ascolto. A questo punto accade un ulteriore processo, ovvero quello che porta al confronto con altri contributi diversi. Il momento creativo sposta il suo focus di compimento maggiormente sul gruppo che deve integrare le diverse forme di visione per giungere ad un’opera che sia plurivocale e al contempo univoca. Ogni opera d’arte infatti contiene in sé una plurisignificazione e multistratificazione di senso che poi si moltiplica ulteriormente a seconda del vissuto che fa scaturire nel fruitore. Quindi possiamo dire che questa esperienza di creatività di gruppo, oltre a significare un potente ri-specchiamento della capacità creativa del singolo che, secondo la lezione di Lacan, grazie al gruppo con funzione simbolica materna, riceve la propria immagine riflessa mentre crea, allo stesso tempo questa stessa esperienza di creazione promuove un ampliamento del campo della co-esistenza cioè dell’essere insieme agli altri, ovvero contribuendo all’esistere nel mondo degli altri. Infine ciò che risulta terapeuticamente importante sembrerebbe essere il processo di scelta che il gruppo deve poter operare nei confronti degli elementi spuri da scartare o di quelli preziosi da includere, andando tutti insieme verso la creazione dell’opera. L’impresa da portare a termine come prodotto fruibile muove il gruppo che si muove verso e ciò non può non far pensare alla ricchezza di modelling per imitazione che i singoli membri possono ricavare per sé stessi dall’esperienza di scelta e azione gruppale trasformativa nel mondo.

Psicoterapia di gruppo

IL GRUPPO DEL SIMPOSIO 

O DELLE 

MANIFESTAZIONI DI CURA DELLA PSICHE

Il mondo dell’altro diverso da me si configura come misterioso e affascinante, ma ciò che sembra differente si manifesta anche come simile e questa esperienza nutre la psiche e il corpo. Il gruppo diventa allora un’occasione unica per fare esperienza insieme, sia stando in relazione col mondo degli altri sia facendo contatto con le proprie emozioni scaturite dall’incontro. Parlare davanti a chi ascolta, fare l’esperienza di sentirsi ascoltati e quindi accolti, facilita i processi di apertura, di intimità e di autostima derivanti tutti dal riconoscimento proveniente dall’altro. Così attraverso la condivisione, ci si sente parte di un percorso comune, in cui ogni membro del gruppo viene conosciuto e non temuto, diviene di pari dignità esistenziale e polo esperienziale di scambio umano.

 Il gruppo si propone come un incontro a più livelli: in particolare nella psicoterapia di gruppo si può realizzare una sorta di rispecchiamento di sè stessi nella problematica portata dall’altro e il vissuto emotivo e simbolico rappresentato da questo fa in modo che anche gli altri membri del gruppo in ascolto  possano elaborare la complessità psichica insieme alla persona che la porta. Quindi il lavoro di esplorazione delle proprie problematiche interne è declinato sia su un piano personale individuale sia su un piano gruppale: infatti ciò che è problema di uno può divenire argomento di riflessione di un altro e del gruppo stesso. In gruppo si elaborano percorsi nuovi per la soluzione di problemi attraverso lo sviluppo di un senso di appartenenza a sé come soggetti e al collettivo come comunità. Il singolo sviluppa dunque un senso di solidarietà e sostegno emotivo, e il gruppo opera e favorisce la crescita psichica e il benessere relazionale dei singoli. Infatti ciò che nel gruppo si sperimenta primariamente è la dimensione relazionale oltre che intrapsichica, ovvero interiore. La figura del terapeuta lavora all’interno del gruppo per consentire i processi di conoscenza e di consapevolezza di sé e degli altri, favorendo i processi di cambiamento personale attraverso l’adozione di prospettive e punti di vista nuovi su di sé e sul mondo che ci circonda.

A questo scopo si adotta una visione teorica propria alla Terapia della Gestalt di F.S. Perls e J. Simkin, secondo cui gli individui necessitano di sentirsi attraverso il riconoscimento delle proprie sensazioni corporee e, ancor prima, di essere un corpo: ad esempio il modo di respirare, attraverso l’espressione delle proprie emozioni – gioia, tristezza, dolore, noia, attesa, paura, vergogna etc.. -, attraverso la consapevolezza dei propri bisogni e del personale modo di essere nel mondo e in relazione con gli altri. Quindi è nel qui ed ora dell’incontro relazionale terapeutico, sia con gli altri membri del gruppo sia con il terapeuta, che c’è la possibilità di ri-prendere consapevolezza sul modo di interrompere il contatto con gli altri individui, ritornando nel presente sulla propria empasse nel passato.

I significati e le storie personali che emergono dalla sedia calda, ovvero quella su cui il singolo membro del gruppo racconta la propria problematica prendendo contatto con le emozioni sottostanti, vanno a confluire in una dimensione gruppale in cui ognuno può rivedersi e dare sostegno a sé stessi e all’altro, divenendo così un’azione di terapeuticità che è insita nella gruppalità stessa.

Il vocabolo “Simposio”, che dà il titolo al gruppo, ha come orizzonte di riferimento la dimensione della domanda che s’impone all’uomo fin dall’antichità delle origini del mondo occidentale, reperibile nell’antica Grecia, ovvero la domanda sul senso dell’esistere. Il Simposio vedeva la compartecipazione di uomini liberi che discettavano di tutto ciò che riguardava il mondo della vita degli uomini e delle donne, dello Stato, delle leggi, del diritto, della vita politica della comunità, dell’amore, dell’amicizia, della natura, del sesso, della consumazione della vita così come della sua origine, della morte, del mondo divino. La sua caratteristica era la dimensione dialettica ovvero di scambio e dialogo che aveva come unico e prezioso scopo quello di custodire uno spazio dove si potesse ricercare il vero nella libertà del pensiero. Poiché la sua principale caratteristica era quella di fare l’esperienza di ciò che si lascia che accada, ovvero della verità come accadimento.



ATTIVAZIONE DI GRUPPO TERAPEUTICO

Ogni gruppo si attiva con un minimo di 3-5 partecipanti e può ospitarne un massimo di 13, nella fascia pomeridiana/serale e in alternativa nel sabato mattina, della durata di circa un’ora e mezza, con cadenza settimanale. Il gruppo attivato si incontrerà presso lo studio del dott. Pietro Salemme, sito in Via GIOVANNI DA PROCIDA 22 – 00162 Roma – PIAZZA BOLOGNA – FERMATA METRO B .

Per informazioni e delucidazioni sulla modalità di accesso al gruppo e sui costi si può contattare il numero 3385606668

Il conduttore del gruppo è il Dott. Pietro Salemme, psicoterapeuta e psicologo clinico esperto di gruppi.

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